Torino - Giorno, notte, giorno - Cronaca dello sgombero del Palazzo Occupato


Giorno, notte, giorno.

Giorno, notte, giorno sono le tappe di una resistenza: in questo caso quella allo sgombero del Palazzo Occupato in corso regina Margherita 128, Porta Palazzo, Torino.

I precedenti sette giorni di occupazione sono bastati a mostrare come l'esistenza del Palazzo abbia prima di tutto cambiato l'immagine di un intero quartiere, solleticando l'attenzione dei numerosi passanti che si fermavano a leggere i nostri comunicati e gli striscioni appesi lungo le mura della casa, convinti che era ora che qualcuno bloccasse il degrado a cui le istituzioni avevano lasciato l'edificio. Poi ne ha modificato il suono: nel brusio che si diffondeva per la piazza e si diramava per i vicoli del balon tutti si confrontavano su cosa fosse l'occupazione, chi eravamo e cosa facevamo lì. Noi rispondevamo con la nostra voce che risuonava dalle casse del terrazzo, con la musica che sovrastava la ferraglia rumorosa delle rotaie dei tram, il rombo del traffico, le sirene delle volanti, presidiando l'etere con le numerose voci in lotta di Radio Blackout.

Infine abbiamo cambiato la materia, o meglio il flusso di materia: alcuni mercatari e lavoratori della piazza in solidarietà dirottava il cibo dai bancali del mercato direttamente dentro la casa, svincolandosi dalla mediazione del denaro e respirando il piacere di una condivisione che potesse, dal Palazzo, riversarsi sulle strade. Questo sono stati i vari pranzi aperti, le merende e le pause caffè che quotidianamente ci davano la possibilità di confrontarci con la gente del quartiere.

Cominciavano a prendere forma nuovi rapporti sociali, genuini e liberi, pei quali ogni individuo che si avvicinava faceva del ruolo impostogli dalla società stessa (l'immigrato, il mercante,il disoccupato, il sovversivo ecc..) un mezzo di incontro da scagliare oltre e contro le barriere del profitto, del lavoro e della segregazione. Prendere le mosse dalla propria identità per scrollarsela di dosso e servirsene ai fini della condivisione. L'unico nostro merito e responsabilità è stata quella di strappare dalla realtà un tempo e uno spazio liberi dagli obblighi che ci affamano lentamente e dalle abitudini che offuscano la nostra mente. Liberi dall'assuefazione all'esistente. Poi è arrivato lo sgombero:

GIORNO La polizia, col tentativo di coglierci di sorpresa nel sonno mattutino, ha invece mostrato la sua incapacità di organizzare uno sgombero. Sono stati costretti a bloccare una delle strade principali di Torino, oltre che l'accesso dei mezzi al mercato di Porta Palazzo. Noi? Tutti sul tetto, tutti in strada. Un attacco bifrontale per concentrare l'attenzione su quello che stava accadendo, grazie ai continui interventi col megafono dall'alto, e al presidio partecipato da numerosi solidali del quartiere in basso. La capacità di coordinarci sopra e sotto ci ha dato modo di evidenziare le mosse arbitrarie della polizia, ad esempio denunciando il loro ingresso nei palazzi adiacenti senza un permesso e senza l'accordo degli inquilini. Erano loro ad essere circondati, dall'ostilità e dall'indignazione.

NOTTE Di notte una quarantina di solidali stavano sfumando la giornata di resistenza rilassandosi tra un boccone di cibo e una birra in compagnia. Forse per un secondo, in quella convivialità multietnica, ci siamo dimenticati di vivere in Italia, dello stato di polizia e dell'arbitrarietà assoluta di cui sono capaci gli organi di repressione. Forse ci siamo dimenticati di un principio fondamentale: aspettarsi il peggio in qalsiasi momento, venendo meno a una responsabilità oramai evidente per chi si propone di resistere alla violenza di Stato. Una squadra antisommossa è sbucata dalla via laterale e ha caricato in corsa il presidio sotto al palazzo, naturalmente aiutati dai carabinieri che già erano sul posto. Il cambio di guardia è così coinciso con la dispersione dei nostri compagni, molti dei quali feriti, fermati e denunciati per resistenza. Poi fino alle quattro del mattino è iniziata una caccia all'uomo per le vie di Torino, a cui è seguito l'arresto di un compagno prelevato dalla propria abitazione: la casa circondata, la porta sfondata, lui tirato via per i capelli. Era impossibile permettersi qualsiasi altra cosa oltre alla salvaguardia della propria incolumità.

GIORNO Nonostante le forze decimate, il presidio della seconda mattinata avrebbe dato modo di organizzarci e rilanciare l'offensiva. I rinforzi sono arrivati molto presto, ma non per noi: un gruppo compatto di macellai del mercato coperto della piazza si è presentato davanti al Palazzo per intimarci di scendere, accusandoci del blocco del mercato e della conseguente perdita economica che stavano subendo. Conoscendo le varie realtà sociali che si incontrano e scontrano nella piazza, e delle quali avevamo deciso con questa occupazione di fare parte, ci aspettavamo una mossa del genere. Di sicuro non ci aspettavamo quello che è succeso subito dopo: come su una scomoda poltrona fatta di tegole pendenti abbiamo assistito alla crudeltà del film che ci scorreva sotto gli occhi. Un groppone alla gola e allo stomaco ci attenagliava, mentre presagivamo lo schifo di un linciaggio pubblico: i pochi compagni che, dopo la lunga nottata, avevano avuto la forza di presentarsi al presidio venivano indicati dalla polizia e lasciati alla furia della folla inferocita. Poi venivano sottratti dalla celere e pestati e ammanettati poco più in là.

La connivenza tra le forze dell'ordine e quel grupo di macellai si è esplicitata definitivamente quando la digos ha accettato di far salire sul tetto alcuni loro “rappresentanti”: ci hanno intimato di scendere perchè altrimenti non sarebbero stati in grado di gestire la folla, che nel frattempo minacciava i ragazzi sul tetto che ci avrebbero massacrati tutti di bastonate. Siamo scesi per impedire il massacro che già si stava compiendo. Perchè in quel momento il grido di resistenza era dissolto, allibito. Perchè abbiamo dovuto ammettere, con grande amarezza, che un gruppo di “camerati” aveva monopolizzato la voce della piazza esercitando il suo prepotente dominio. Macellai in divisa, dal camice bianco, che pur di perpetuare il loro status di piccoli e alienati privilegiati sono disposti alla violenza civile. Abbiamo un nemico in più a Porta Palazzo, la difficoltà (se non impossibilità) di intessere qualsiasi forma di dialogo con loro è la stessa difficoltà che si riscontra con un polizziotto o un carabiniere. Non tutti gli “sbirri” sono servi diretti dello stato.

Ciò che avete letto, a dispetto delle numerose versioni pubblicate sui giornali, è la vera cronaca dello sgombero del Palazzo Occupato. Vera, perchè la verità non è una conoscenza statica e oggettiva dei fatti, ma un fatto a sua volta. La verità è un precedente di lotta, con i suoi pro e i suoi contro, le sue vittorie e i suoi errori. Per questo essa aggrega nella solidarietà e trova la forza di continuare, per questo essa è corpo e voce. La verità è una scelta che guarda verso una precisa direzione: quella da costruire insieme e in libertà.

alcuni tra i molti e dal tetto


indietro